Napoli, 10 Ottobre 2022 – Desideravo da tempo adottare un cane, non volevo assolutamente comprarlo ma toglierne uno da un canile, per regalargli una casa, libertà e amore. Per quanto mi riguarda ho scoperto con mia grande sorpresa che in questi luoghi non ti aspettano a braccia aperte, ho trovato persone infastidite, disinteressate oltre ad una prassi burocratica a mio parere assurda. Convinta sempre di dare una chance ad un trovatello, decido di iscrivermi ad un gruppo, inizio così a seguire quotidianamente gli annunci di cani che cercano urgentemente famiglia e ad alcuni rispondo prontamente senza però avere mai una risposta.
Guenda
Considero che tutto mi è avverso e lascio perdere la ricerca, finché un giorno si apre un altro spiraglio, un allevamento non molto distante da casa mia, dà in adozione delle fattrici.
Devo dire che già il termine “fattrice” lascia in me l’amaro in bocca, mi sono sentita coinvolta in quanto femmina ed ho pensato con rammarico e una punta di angoscia a quante donne ancora oggi nel mondo, sono fattrici, costrette a maternità giovanissime, mettendo a repentaglio la propria vita per una cultura assurda e maschilista. Devo anche dire che un allevamento, per quanto più umano, ha più o meno lo stesso obiettivo far nascere cani di razza che devono essere “perfetti”, per non compromettere il prestigio dell’allevamento, per poi venderli a prezzi vertiginosi. Ovviamente in tutto questo c’è la responsabilità di chi, spinto dalla tendenza di turno, è disposto a pagare fino a cinquemila euro purché appunto il cane sia di tendenza ed abbia tanto di pedigree.
Ritornando all’annuncio: le cagnoline in adozione erano due maltesi, una di due anni con tanto di pedigree e l’altra di quattro anni ma priva di pedigree, in effetti era un’adozione strana poiché comunque dovevi versare una quota, bassa rispetto alla quotazione del cane, ma pur sempre una cifra per “le spese”.
Previo appuntamento, io e mia figlia ci rechiamo all’allevamento, un posto devo dire davvero molto bello e ampio in mezzo ai campi, una dipendente molto gentile ci accoglie e ci fa attendere in uno spazio antistante le gabbie e ritorna con in braccio le due cagnoline. Una è bellissima, col pelo lungo e sguardo impettito forse consapevole del suo alto rango, essendo lei quella con il pedigree, l’altra appariva bruttissima, di dimensioni quasi toy, tosata tranne che sulla testa, scarnita e con un taglio sull’addome non ancora rimarginato, e con i punti che le tirano la pelle. Nel vederla ho avvertito un certo malessere sia fisico che spirituale ed ho pensato tra me e me che quella non l’avrei presa.
In quell’istante, mentre la ragazza racconta di entrambe, lei col muso si allunga verso di me e mi guarda dritta negli occhi e poi sgattaiola dalle sue braccia ed inizia a correre nel prato. In quel momento ho come l’impressione che mi abbia scelta. Prendo in braccio l’altra e chiedo il motivo per cui vengono cedute. Quella tra le mie braccia non è nata per essere madre; infatti, si è rifiutata di allattare i cuccioli nei due parti avuti e questi sono morti. A questa notizia penso due cose, una che non avrei mai premiato una mamma che lascia morire i figli, e l’altra che comunque lei sta esercitando un suo diritto, il non voler essere madre, non essendo stata lei a scegliere la maternità, e quindi smetto di giudicarla. L’altra ha avuto già quattro parti di cui gli ultimi due col cesareo, purtroppo durante entrambi i parti i cuccioli erano morti e quindi era venuta meno la sua utilità in quanto fattrice.
Andiamo via dicendo che ci saremmo aggiornate. Il tempo passa e io continuo a pensare a quello sguardo e a quella cicatrice. Un giorno mi chiamano dall’allevamento per chiedermi se avessi deciso qualcosa, così prendo appuntamento per un altro incontro. Torniamo all’allevamento e chiedo di vedere Eva, la maltesina rasata. Lei è in uno stato pietoso, ancora con i punti, sporca, con il pelo del muso e delle zampe sempre più rossiccio, trema come una foglia e mi fa la pipì addosso. Ancora una volta mi sento male nel vederla così e vado via dicendo che nel giro di qualche giorno avrei dato una risposta definitiva.
Per una volta nella mia vita, volevo usare la testa e non il cuore, invece non ci sono riuscita. Eva l’ho adottata, con tutti i suoi tanti contro e pochi pro, non potevo lasciarla lì. Arrivata a casa, era confusa e spaventata, le ho fatto vedere la casa, come se fosse un’umana, si è rifugiata in una stanza dove ci sono armadi pieni di specchi, continuando a toccare col muso il suo volto, credendo fossero i suoi compagni di gabbia, non vi nascondo che mi sono commossa.
Eva emanava un odore nauseabondo dalla bocca, ho dovuto farla sedare per farle fare la pulizia dei denti, e le hanno tolto quattro denti che dondolavano. Eva è poi andata a farsi tolettare, adesso almeno il suo pelo è tutto uniforme; ha imparato a salire e scendere le scale, a camminare, perché non lo faceva, a farsi mettere il collare e dirigere col guinzaglio, ha visto Milano e il mare della Toscana ed ha anche scoperto che il lettone è molto comodo, abbandonando purtroppo la sua cuccetta, ha preso peso e mangerebbe continuamente. Quando mi vede arrivare saltella felice e il mio cuore saltella con lei.
Adottare, a prescindere che sia un bambino o un animale, resta sempre a mio parere, la forma più elevata d’amore.
La cosa più strana nella mia storia con Guenda è che quando ho avuto tra le mani il suo libretto, ho scoperto con mia grande sorpresa che è nata il 10 giugno, una data molto importante per me, perché è stato il giorno in cui ho presentato il mio primo romanzo.
Ho pensato: “Mi ha proprio scelta lei!”